«Ora che sono in pensione, di tutta questa gente ricordo poco o niente. Il loro potere si è disperso nell’ombra grigia che tutto annienta, tutto dissolve se non lasci ricordi vivi, umani, come un po’ di amore verso i tuoi simili». Cesare Roccati, “Il Mondo che Verrà”
“Silvia, ricordi ancora il tempo di tua vita mortale?” scriveva Giacomo Leopardi, riecheggiando gli anni di una vita più certa. Ciò che vale per i poeti vale per gli uomini comuni, anche per i popoli. Ognuno di noi ha bisogno di memoria. Ma invecchiando ne perde un po’, rimuove, senza accorgersene, momenti preziosi della propria vita, individuale e collettiva. Così sta avvenendo nella vita dei popoli. A un certo punto sembrano ricordare nulla, le loro radici, i loro errori. E così, eternamente, si ricomincia da capo, rifacendo gli stessi errori, in una sorta di circolo infernale di corsi e ricorsi vichiani. Accadeva in passato, accade sempre di più oggi, in tempi di globalizzazione, di Internet, di processi che tendono ad azzerare le memorie individuali e collettive. Il processo è maledettamente complesso. Qualcuno dirà: “E’ sempre andato così”. Altri invece diranno: “Perché deve sempre andare così?”. E tutti dicono di essere figli dello stesso Dio. Ma il mio amico Giuan ricorda sempre che “Dio parlava al cuore degli uomini, non con le bombe, i cellulari e lo sfruttamento dei più deboli”. A volte penso che dice cose importanti, che non sono da buttare. L’ho conosciuto tanti anni fa… Era alto, smilzo, curioso, un giornalista d’assalto, di quelli che se abbrancano una notizia non la mollano finché non l’hanno spolpata tutta. Un po’ come i cani randagi fanno con l’osso. Mi piacque subito, perché era schietto, sincero, sorrideva nel modo giusto, non accettava compromessi. Anche per questo non ha mai fatto fortuna. Certamente, un uomo così, in questo secolo di fortuna ne farà poca. Neppure nei giornali, che restano il suo grande amore. Ma anche loro sono giunti all’ultima corsa. Oggi siamo entrati nell’era del web. Quello che verrà dopo si vedrà. Gran secolo davvero questo: cambia tutto, si ridisegnano le frontiere, viviamo in tempi di ingegneria genetica, i bambini nascono a bacchetta e senza dolore, ma l’uomo continua a parlare di guerra. L’Apocalisse i nostri nonni, le nostre madri l’hanno già vista, dovremo viverla anche noi? Per fermare il “mostro” c’è ancora tempo, ma gli uomini devono capirlo e cambiare rotta. E su questo, il mio amico non nasconde qualche dubbio. Spero che queste pagine servano a qualche ragazzo, che navigando soltanto sul web può dimenticare, che il futuro ha un cuore antico.»
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